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Istantanee: Una settimana memorabile - Mago Farina
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Istantanee: Una settimana memorabile

Sono passati vent’anni dall’esame di maturità. Ricordo ogni istante della settimana nella casa in montagna con i miei amici Luca, Giulio, Maurizio e Daniel, accampati alla meglio con brandine e sacchi a pelo un po’ improvvisati. Di spazio ce n’era poco, ma non ci mancava nulla. Ci sentivamo invincibili all’epoca.

Fu una delle settimane più belle della mia vita, e pensare che mamma e papà sanno ancora che andammo lì per studiare senza troppe distrazioni. Loro erano tranquilli perché non c’erano pub, discoteche, sale giohi in paese, eppure ci divertimmo lo stesso, come non mai. Anzi, credo di aver assaggiato solo allora il sapore della mia giovinezza: libertà, spensieratezza, fiducia e quelle risate stupide, da star male, che duravano un’eternità.

A pensarci, quella fu una parentesi bellissima in un periodo difficile in cui i nervi cominciavano a dare piccole avvisaglie.

Avevamo fatto abbondante scorta di cibo e bevande come solo degli adolescenti in fase “studio prima degli esami” possono fare. La cassiera ci continuava a fissare incredula davanti alle schifezze che ci eravamo comprati. Per i biscotti, però, non dovemmo preoccuparci: mia nonna insisté per darci i suoi, fatti con le sue mani, come ripeteva sempre. Erano buoni, anche qualche giorno dopo. “Ti aiutano a studiare meglio, così passi l’esame” mi disse porgendomi la busta e facendomi l’occhiolino, prima di partire. Non potei rifiutare.

I suoi biscottti avevano un sapore delicato, erano semplici. Non eccedeva mai con lo zucchero, né con il burro. Aveva imparato a farli quando era ragazza e, in tempi di grandi privazioni, lei aveva dovuto arrangiarsi con il poco che c’era in dispensa. Era diventata brava a preparare biscotti con ciò che aveva a disposizione. Era una rarità comprarli in bottega, per lei e i suoi sette fratelli minori. Perciò  s’ingegnava.

Io e gli altri studiavamo la mattina qualche ora, poi nel pomeriggio ci incamminavamo sui sentieri per esplorare il bosco. Dormimmo fuori casa un paio di notti, nei pressi del rudere di un antico mulino abbandonato, cercando di spaventarci a vicenda con le torce poi ci guardammo impietriti al primo ululato in lontananza; ci beccammo un acquazzone epico mentre pescavamo al torrente, col rischio di ammalarci proprio per l’esame orale. Ma la cosa più magica fu che, nonostante l’assenza delle ragazze che iniziavano a insinuarsi nel nostro quotidiano con la prorompenza e l’euforia di quei primi amori, sentivamo di stare bene così come eravamo.

Quattro ragazzi che stavano per finire il liceo e che la vita stava per lanciare a velocità pazzesca verso il futuro. Un futuro che doveva essere grandioso. Non potevamo sapere che uno di noi si sarebbe perso per strada, smarrito nel tunnel della droga. Né che un altro sarebbe partito per il Nord America con una borsa di studio in fisica. Né potevamo ancora sapere che uno di noi si sarebbe sposato solo pochi anni dopo dopo, dividendosi tra i lavori notturni in un locale e i cambi di pannolino di sua figlia. E, infine, non potevamo sapere che a uno di quei ragazzi che eravamo  avrebbe vinto un premio dopo l’altro fino a diventare un famoso sceneggiatore né che a un altro sarebbe stata diagnosticata una malattia rara.

Non avevamo social, non c’era connessione internet, non eravamo assorbiti dal superfluo. Eravamo vivi, giovani, spaventati a morte dalla maturità, questo sì, ma con una forza dentro che ci illuminava gli occhi.

La chitarra di Giulio, lo stereo che Daniel fece cadere in una scarpata (quanto lo prendemmo in giro per la sua sbadataggine), la t-shirt sempre madida di sudore di Luca, i graffi per prendere le more tra i rovi, il pianto isterico di Maurizio quando scoprì di essere rimasto senza benzina e non sapeva come fare, e noi a ridere come scemi e a spingere fuori dalla carreggiata l’auto. Facemmo l’autostop per finta, finché non si fermò un camper, sul serio. Dentro c’erano quattro “ragazze”… di settant’anni uscite da chissà quale epoca che ci scortarono fino al primo distributore come fossimo loro nipoti. E ci augurarono buona vita e buona maturità, ridendo come pazze.

Ecco, più o meno fu questo ciò che accadde in quella settimana di “meticoloso e approfondito studio”. Pascoli, Montale, la Guerra Fredda, la trigonometria, il moto rettilineo uniformemente accelerato, il Dadaismo, lo Sturm und Drang, il realismo magico… Sì, ho vaghi ricordi anche di tutto questo.

L’esame lo superai con un bel 90 ma di maturità neanche l’ombra. Per lo meno è quello che mi ripete sempre mia madre.

Per quanto riguarda i biscotti della nonna, è vero, mi portarono fortuna, ma quella fu anche l’ultima volta in cui potei mangiarli. Se ne andò poche settimane dopo, con il sorriso che aveva sempre saputo donare al mondo. E io, per gratitudine, ho continuato a prepararli seguendo la sua ricetta. E da qualche anno ormai è diventata una tradizione anche per mia figlia.